Possibili "attività di gruppo" con gli Anziani:

relazione su un lavoro svolto con i malati di Demenza ed Alzheimer e con i loro familiari

Cenni statistici

Negli ultimi anni l'aumento delle aspettative di vita sta determinando un considerevole aumento dell'invecchiamento della popolazione. Oggi sappiamo che biologicamente l'uomo può superare i 125 anni: gli ultracentenari in Italia all'inizio del '900 erano 50, nel 1995 erano circa 4000.

Secondo i dati del CNR del 1990/95 la vita media nell'Unione Europea era di 76.7 anni, quella nei paesi in via di sviluppo di 62.9 anni, mentre quella in Italia era di 77.5 anni (M 74.89, F 81.4). Nel 1950 la vita media era stimata a 66 anni, mentre secondo le previsioni, nel 2030 sarà di 82.7 anni.

Agli uomini che nel 1995 avevano 65 anni, restavano circa da vivere ancora 15.6 anni, alle donne ancora 19.3 anni.

Secondo le previsioni dell'Istat, la speranza di vita sarà, al 2020, di 78,3 anni per gli uomini e di 84,6 anni per le donne, con un cospicuo aumento soprattutto dei "Grandi Anziani" (con più di 80 anni).

La regione più vecchia è la Liguria, la più giovane la Campania; la regione più longeva il Trentino (84 anni), la meno longeva la Campania (79 anni).

Secondo il censimento del 1991 le persone con più di 65 anni erano il 15.3 % della popolazione; secondo i dati Istat del 1995 quelli con più di 65 anni erano il 16.4 % della popolazione (come quelli tra i 0 ed i 19 anni); quelli con più di 75 anni il 7% della popolazione.

Le proiezioni Istat per il futuro prospettano un aumento vertiginoso degli ultrasessantenni: al 2010, quelli con più di 65 anni saranno il 20% della popolazione; quelli con più di 75 anni il 14 %; le proiezioni al 2040, danno invece una percentuale per gli ultra sessantenni del 31 % (2 anziani per ogni persona tra 0 e 19 anni).


La demenza: Vascolare, Alzheimer o altri tipi?

La malattia di Alzheimer costituisce attualmente la più comune forma di demenza (si calcola che il 50%-70% delle persone affette da demenza soffrano di Alzheimer).

La malattia di Alzheimer prende il nome da Alois Alzheimer, un neurologo tedesco che nel 1907 per primo descrisse i sintomi e gli aspetti di questa patologia neurodegenerativa. Si tratta di un processo neurodegenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule del cervello, rendendo il malato sempre più inabile a compiere tutti i normali gesti della vita quotidiana. Isintomi iniziali (lieve perdita della capacità di ricordare avvenimenti o fatti recenti, con alterazioni della personalità e deficit delle altre funzioni cognitive) sono spesso attribuiti all'invecchiamento, allo stress o a depressione. Nella grande maggioranza dei casi, solo a distanza di uno-due anni dall'esordio della malattia il disturbo della memoria risulta tale da spingere i familiari a ricorrere all'aiuto di uno specialista.

L'allungamento della vita umana e il progressivo invecchiamento della popolazione rendono questa malattia, ad altissima rilevanza sociale, una delle priorità sanitarie ed assistenziali dei Paesi sviluppati. Il malato di Alzheimer, infatti, necessita sin dalle prime fasi della malattia di un'assistenza personalizzata e continuativa.

La malattia di Alzheimer colpisce oggi in Italia oltre 500.000 persone; tra queste, le donne sarebbero interessate in misura percentualmente doppia rispetto agli uomini. Tale dato risulta però ingannevole, perché le donne vivono mediamente più a lungo degli uomini. Ciò significa che a parità di durata della vita, il numero di persone dei due sessi affette dalla malattia si equivale. Secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che ha condotto lo studio italiano longitudinale sull'invecchiamento ILSA (www.aging.cnr.it/ilsa), tutti gli studi nazionali ed internazionali concordano nell'affermare che l'età costituisca il più importante fattore di rischio per sviluppare una forma di demenza. La prevalenza mostra una crescita esponenziale dai 75 anni in poi, e dopo gli 80 anni interessa il 20%-25% della popolazione. Dallo studio ILSA emergono in Italia ogni anno circa 150 mila nuovi casi di demenza presso persone con più di 65 anni. Di questi nuovi casi, circa la metà è causata dalla malattia di Alzheimer. >>fonte ALZHEIMER.MADERNA.IT


L'importante ruolo delle famiglie

Considerando che la vita di un anziano, purtroppo, è fortemente condizionata dalla presenza di pluri - patologie croniche e da condizioni di non autosufficienza, emerge con chiarezza la complessità delle problematiche connesse all'assistenza di un anziano malato non autonomo.

In questo scenario demografico, la demenza acquista un significato importante, in quanto è ormai divenuta una patologia comune tra gli anziani e l'età n'è stata riconosciuta quale fattore di rischio. Tale patologia coinvolge però, non solo il malato, ma l'intero gruppo familiare che sopporta un carico assistenziale molto pesante: nella maggior parte dei casi, sono proprio i familiari quelli che accudiscono personalmente i propri parenti anziani: il più delle volte sono mogli e figlie, le quali, queste ultime, hanno a loro volta un lavoro e una propria famiglia da accudire.

La famiglia, quindi, se da un lato protegge e difende l'anziano disabile, dall'altro manifesta spesso una forte domanda d'aiuto e di tutela, al fine di prevenire possibili patologie connesse al caregiving (da carer, colui che si prende cura, prendersi cura di...), quali stress, ansia e depressione. Questi sintomi sono la conseguenza di un carico assistenziale pesante, logorante e in parte sono anche legati al conflitto che sorge tra esigenze dell'anziano da assistere, ed aspirazioni personali del caregiver.

Numerosi sono gli ambiti della vita quotidiana che coinvolgono in modo progressivo le capacità assistenziali del familiare o del caregiver: la comunicazione con il paziente, alterata dal suo stato confusionale e dai deficit cognitivi; la cura quotidiana e l'igiene, che coinvolgono anche la dignità del malato; l'alimentazione; le piaghe da decubito, conseguenza di prolungate immobilità; le cadute e la loro prevenzione, che innescano problemi di sicurezza ambientale e adeguamenti dell'ambiente domestico; il trattamento dell'incontinenza, compagna costante di ogni forma di demenza; le malattie concomitanti; i disturbi comportamentali, che compromettono ulteriormente il livello di autonomia; gli episodi confusionali e il senso di disorientamento del paziente; la depressione dell'umore; l'aggressività e l'agitazione; il vagabondaggio e l'insonnia; i deliri e le allucinazioni.

I cambiamenti del proprio caro, proprio perché non si comprendono, sono spesso emotivamente intollerabili e la concomitante presenza di disturbi comportamentali, di linguaggio incomprensibile, di ripetitività, di disorientamento, sono elementi che pesantemente influiscono sulla relazione malato-famiglia.

Dare informazioni ai familiari che spieghino loro che, i comportamenti dei loro cari sono da attribuire alle conseguenze della malattia e non sono, invece, da reputarsi a dei comportamenti fatti apposta per dar loro fastidio, può essere il primo passo per aiutare i familiari a capire che non è colpa loro se i loro cari si sono ammalati; inoltre con piccoli suggerimenti sul comportamento del familiare si può migliorare molto la relazione tra loro.

La visione strettamente "sanitaria" delle problematiche legate all'invecchiamento, dovrebbe essere superata, in favore di un approccio che valorizzi anche gli aspetti sociali, psicologici e relazionali dell'anziano e della sua famiglia come componenti essenziali del loro benessere globale.

E' importante che le famiglie vengano sensibilizzate alla conoscenza della malattia e loro stesse siano portatrici di conoscenza rivolta ai professionisti a cui si rivolgono.

Attraverso colloquio clinico con i familiari gli operatori che lavorano con tale problematiche possono e devono raccogliere le informazioni anamnestiche sulla persona con MdA e sul contesto familiare: hanno la possibilità di individuare le risorse presenti all'interno del nucleo familiare e della famiglia allargata, del condominio o vicinato, del quartiere o rione, allo scopo di valorizzare le potenzialità già presenti ma non sfruttate all'interno del contesto e di rendere competente la comunità. I familiari sono gli unici che possono raccontare agli specialisti tutto ciò che accade nel corso della vita quotidiana; inoltre i colloqui sono utili ad alleviare le sofferenze dovute al carico soggettivo e oggettivo ed i vissuti emotivi del caregiver. E' fondamentale per i familiari poter essere seguiti nel lungo e difficile percorso della malattia dal momento della diagnosi, ai cambiamenti psicologici e fisici loro e del proprio caro, dalla scelta della casa di riposo, all' elaborazione della perdita e del lutto. Non in ogni momento avranno bisogno dell'esperto, ma nel momento del bisogno, devono sapere dove e a chi possono rivolgersi per trovare aiuto e consigli.

Un altro aspetto importante è quello della consulenza sulla malattia e sulla sua gestione: i familiari devono conoscere la malattia e i sintomi che essa provoca. Per fare ciò sono fondamentali la sensibilizzazione alla popolazione in generale sia attraverso conferenze sul tema che attraverso la creazione di veri e propri corsi per i familiari (di circa 5 incontri) dove si sono affrontate le domande più comuni, su cos'è la malattia, le differenze tra le diverse forme, le varie fasi, i consigli utili per migliorare la convivenza e la relazione con il malato, l'informazione sui servizi territoriali. Gli obiettivi degli incontri erano quelli di presentare l'organizzazione dei Servizi Territoriali e le risorse pubbliche, private e del volontariato,aiutare lo scambio d'esperienze tra familiari in situazioni simili, trovare e mettere a disposizione piccoli ma preziosi strumenti per affrontare la quotidianità, rompere la solitudine, ridurre la sofferenza generata dalla presenza dei familiari malati, aiutare a diventare più capaci grazie allo scambio d'esperienze tra familiari in situazioni simili, trovare e mettere a disposizione piccoli ma preziosi strumenti che permettono di affrontare la quotidianità con più ottimismo, speranza e fiducia, rompere la solitudine, cercare di cambiare la mentalità da chiusura a condivisione, con lo scopo secondario di far emergere problemi presenti ma sommersi.

Da tali iniziative si possono formare dei gruppi di auto-aiuto per familiari coordinati da uno specialista (da svolgersi 1 volta al mese) dove oltre alle cose già citate in precedenza, poter condividere la sofferenza e scambiare idee sulla gestione dei loro cari con tale patologia, man mano che la patologia avanza e le caratteristiche comportamentali si modificano nel tempo.

Un ulteriore intervento utile è quello rivolto ai malati affetti da decadimento cognitivo: l'importanza dei gruppi d'intrattenimento e di socializzazione per persone affette da decadimento demenziale, che volutamente non voglio chiamare di riabilitazione cognitiva: lo scopo dell'attività di gruppo è quello di stimolare le capacità residue dei partecipanti e di garantire qualche ora di sollievo e respiro ai loro familiari. Gli incontri sono bisettimanali ed hanno una durata di circa un'ora e mezza e le attività svolte sono modulate a seconda delle peculiarità e del livello di deterioramento cognitivo dei partecipanti nonché delle loro preferenze e richieste. Una notevole rilevanza viene data alle narrazioni autobiografiche dei partecipanti. Altre attività svolte sono: esercizi d'orientamento spazio-temporale, esercizi mnemonici e linguistici (di completamento di frasi o proverbi), attività grafica e di espressione artistica, giochi di società (domino, tombola, con piccoli premi, giochi con le carte), puzzle, attività di canto spontaneo (le canzoni triestine o dei loro tempi).

La partecipazione ai gruppi ha le seguenti finalità:

  • aiutare a mantenere le abilità residue

• garantire e stimolare rapporti positivi con altre persone

• garantire momenti di sollievo e respiro ai familiari

• partecipare ad attività di stimolazione delle capacità cognitive residue

• partecipare ad attività ludico-ricreative

• partecipare a momenti di socializzazione

• partecipare a gite ed escursioni programmate

• partecipare a discussioni di gruppo su argomenti definiti o su narrazioni autobiografiche

• una presa in carico delle persone partecipanti e quindi un monitoraggio continuo della situazione

Ora mi dedicherò ad alcune attività che ho applicato durante lo svolgimento dei gruppi di socializzazione.

I gruppi da me tenuti sono cominciati nel 2003. Per i primi 3 anni la finalità principale era quella di dare respiro e sollievo ai familiari, sostituendosi a loro per un paio d'ore alcune volte alla settimana, e quindi non vi era alcun criterio di inclusione nel gruppo, ma si prendevano tutte le persone interessate all'iniziativa. Le attività proposte ai partecipanti ai gruppi quindi erano solo di intrattenimento e di gioco, senza alcun scopo riabilitativo, ma solamente di accudimento. Vi era una grossa difficoltà di gestione del gruppo a causa della presenza di un solo operatore, e della presenza nel gruppo di persone affette da problematiche demenziali diverse e a vari stadi di malattia; inoltre la loro presenza non era costante a causa di problemi fisici e di frequenti ricoveri ospedalieri e pertanto ogni volta che tornavano dopo un lungo periodo di assenza, bisognava ripartire da zero, o quasi.

Successivamente le cose si sono modificate e vi è stata una particolare attenzione alla scelta dei partecipanti suddvidendoli in 3 gruppi distinti: quelli affetti da demenza in uno stadio medio-grave, quelli affetti da demenza in uno stadio lieve-medio, e vista la grossa richiesta si è creato anche un gruppo di signore tutte vedove che lamentavano un vissuto di solitudine e di depressione.

Il gruppo con persone affette da decadimento cognitivo medio-grave (Gruppo A) era composto da 3 persone e uno psicologa: si svolgevano specifici esercizi di riabilitazione cognitiva per 2 volte a settimana per circa 1 ora.

Il gruppo di persone affette da decadimento cognitivo lieve - medio (Gruppo B) era composto da 6 persone e tenuto da uno psicologa e una volontaria (la volontaria aveva la Madre con MdA che aveva partecipato al gruppo; poi era stata ricoverata in CdR e infine deceduta): si svolgevano varie attività per 2 volte a settimana per circa 2 ore.

Il gruppo di signore tutte vedove che lamentavano un vissuto di solitudine e di depressione (Gruppo C) era composto da 4 persone e tenuto da uno psicologa e una volontaria: si svolgevano varie attività per 2 volte a settimana per circa 2 ore.

Ad un certo punto a causa del peggioramento delle capacità sia cognitive che fisiche il gruppo con persone affette da decadimento cognitivo medio-grave (Gruppo A) è stato sospeso e si è deciso di unire i due gruppi rimanenti, quello di persone affette da decadimento cognitivo lieve - medio (Gruppo B) con quello di signore tutte vedove che lamentavano un vissuto di solitudine e di depressione (Gruppo C).

L'idea di unire i gruppi ha portato dei grossi benefci per tutti: per gli operatori poter concentrarsi in un'unico momento su più persone e per i partecipanti poter avere più persone con cui conversare e socializzare; nello specifico per il gruppo affetto da patologia lieve - medio stare in un gruppo di persone miste con varie problemtiche anche diverse dalle loro e quindi non patologizzantee categorizzante in un' unica direzione, la demenza; per il gruppo delle signore depresse invece il rendersi utile e poter aiutare persone che stanno peggio di loro.

Per i partecipanti ai gruppi B e C dal 2006 ogni 3 mesi vengono fatte delle valutazioni funzionali: BINA, BARTHEL INDEX, NORTON, IADL, BADL, BANSS, CDS,GDS.